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cicche per terra e motti di spirito con dialetto a gogò
 
 

 
Mario Ernesto Silvoni - "il vecchio esploratore"
 
 
 
Gli Amici della Montagna di Conselve
di Mario Berto
 
 
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“LA LUNA SUL “CALVARIO”

     <<Tosi, appuntamento domàn de sera a le oto, a casa del Vicecapo. 
     El Vicecapo ga dito, che stanote se va dormire su la Schiara. Puntuài me racomando! Chi ghe xe, ghe xe! Chi no ghe xe, sta casa! Là de sora el bivaco xe sempre verto, ghe sarà on poca de frescura e drento pi de nove no se ghe sta! Dixe el Vicecapo: tanti maiòni, jaca a vento, saco a peo e Acua de Colonia pa’ confondare eà spussa dei piè!>>
     Il tam-tam, aveva cominciato a trasmettere dalla casa del Capo, Mario Silvoni (ste bele idee, xe sempre sue). Il messaggio era arrivato a casa del geometra, dell'architetto,  dell'esperto in sentieri di montagna. Anche a casa del cuoco/assicuratore, dell’impresario edile, e dell’industriale termoidraulico. Tutti d’accordo, tranne i soliti due poltroni: il pittore, e il ragioniere. Per loro, passare una notte lontano dal letto, sarebbe stata questione di vita o di morte: gente ancora da svezzare.  Gli altri invece, be’, diciamo che preferirebbero il calduccio del letto, specie in dicembre. Ma, per amor d’avventura e di qualche risata in più, sono disposti anche a passare una notte d’inverno, con una decina di gradi sotto zero,  sotto le stelle.
     Eccoli! Alle 20.00, tutti puntuali. Otto coraggiosi su tre macchine, già pieni di freddo, e via, verso Padova, Mestre, tangenziale, A27, Belluno.
    <<Attenzione! Prendere per Case Bortot e seguire la mulattiera lungo il torrente, fin che questa finisce!>> L’indicazione, via cellulare viene passata a tutta la comitiva. Dopo neanche  dieci minuti, eccoli al piccolo parcheggio alla fine della strada. Sono le 21.30.-
     Il gruppo smonta dalle auto, c'è chi fa dei grossi sbadigli, chi si stiracchia, chi comincia il rito della vestizione. Mezzo nudo, l’esperto di montagna, che è anche il figo della compagnia per i suoi occhi strabici, batte i denti. Apre lo zaino. Accende la torcia elettrica e sparpaglia tutto per terra. Ad alta voce comincia a declamare:
     <<calsetoni, mudandoni, do maioni, na bareta, jachetòn>>… Breve pausa, ...si sente il ticchettio dei denti. …Sta pensando. Alla fine urla:
      <<Tosi, me manca calcossa!>> Si guarda ed esclama: <<Ah  eco! E scarpe dove zee? Orpo, anca e braghe me manca! Tosi, a momenti vegnevo via in mudande!>> Non sarebbe stata la prima volta. Il freddo alle gambe gli aveva risvegliato la memoria.
     L’Esperto però, xe tipo da tegnèr da conto, conosce bene tutti sentieri di montagna e, state tranquilli, se vi affidate a lui da qualche parte vi porterà. Non è il caso di sapere dove, perché proprio non lo saprebbe neanche lui, ma sicuramente da qualche parte. 
     In cielo intanto, là in fondo alla valle, fa capolino una luna tonda, enorme, quasi rossa. Proprio quello che ci vuole una bella luna a rischiarare la marcia! Neanche una nuvola, ma l'aria è fresca. No, fredda! Freddissima! E, per non morire assiderato, il gruppo si mette subito in cammino.
     <<Tosi, xe e diese! Par rivàre al rifujo  ghe voe tre ore e meza, o anca de pi. Pae do de domatina semo al bivàco, …sperando che no ghe sia nissùn, senò calchedùn dormirà su’a neve!>>
     <<Cossaaaaa! Anca eà neve? Ma quando mai ga nevegà?>>
     Alla luce delle torce elettriche e con in spalla i pesanti zaini, in fila indiana, imboccano il sentiero. Con loro, tutto l'occorrente per una spedizione imalaiana, anche una pentola in smalto rosso e tutto il necessario per una pastasciutta in grande stile. Visto che nessuno vuole portare la pentola, se ne incarica il Vicecapo. Del resto, vanno sulla Schiara, mica su una montagna qualsiasi. Lì, potrebbe essere che la neve ci sia davvero e, se niente-niente qualcuno li ha preceduti, è matematico che toccherà dormire all’addiaccio… e per tetto un bel cielo stellato! Allora, un fuoco, una pastasciutta al chiaro di luna, un po’ di grappa e na cantàda a squarciagola, sono cose più che salutari per non morire di freddo e far mattina!
     Camminano per un facile sentiero, quasi in piano. Chiacchierano, si scambiano battute e qualche presa per il culo. La luna dall'alto li osserva e li tiene tutti sotto controllo. Li accompagnano le sagome degli alberi spogli, le loro ombre e il tramestio delle foglie secche sotto i piedi, sembrano inseguiti da un esercito di fantasmi.
     Prima in salita, poi in piano, ora giù verso il torrente, in leggera discesa. …Non finisce più!
    Qualcuno dice che stanno andando al mare, non in montagna e sta pensando alla fatica che dovrà fare per riguadagnare quota. Dopo un'ora, arrivano ad un ponticello sul torrente. Sull'altra sponda finalmente il sentiero comincia a risalire. Ora la luna rischiara bene tutt'intorno. Le torce non servono più. Si inerpicano per un costone sassoso. Passano per cenge sospese nel vuoto. Se qualcuno malauguratamente inciampasse, addio! Un volo di cento e più metri e diventerebbe angelo del paradiso.
     Un po’ più avanti, si infilano d'improvviso nel buio, nell'ombra di una grande parete di roccia. Accendono di nuovo le torce e procedono con attenzione. Usciti dall'ombra, ecco di nuovo  la luna a rischiarare loro il sentiero. Sudano da matti. …Si fermano.
     Qualcuno comincia a togliersi la felpa o il maglione. Qualche sorsata di tè, di acqua e via, di nuovo in cammino! La fatica, sempre in agguato, torna a farsi sentire. Qualcuno non tiene più il passo. Da primo della fila passa secondo, passa terzo, …ultimo. Non ce la fa più! …Aih, le gambe! Si ferma. I più allenati continuano imperterriti. Allora si fa sentire la voce baritonale del Capo:
     <<Tosi, pianèto, che ghemo perso l’industriale!>> …Per fortuna l’impresario edile, armato di genuina solidarietà alpina, mette giù lo zaino e corre in soccorso dell'amico in difficoltà, mentre gli altri procedono a passo più che rallentato. Fora che tre: il Cuoco, l’Esperto in sentieri di montagna  e il Vicecapo, …lori voe far vèdare che i xe i mejo, i pì forti. 
     Il sentiero è maledettamente lungo, pare non debba finire mai. Arrivano ad un bivio. Ci sono delle indicazioni. Toh, anche una specie di bacheca in legno con una cartina topografica. Pronta la pila. Scrutano, leggono, guardano bene e, fatto il punto, scoprono che il sentiero, per il quale devono incamminarsi, si chiama "Calvario". <<E ti pareva!>> esclama il Vicecapo.
     Per nulla scoraggiati da quella parola, che solo a leggerla e a pronunciarla fa star male, prendono, su, su, adagio, per la spalla della montagna, con una luna dalla faccia sogghignante, che quasi prende in giro. Dopo mezz'ora di relativo silenzio e calma, qualcuno comincia ad imprecare, a maledire l'idea della sgambata notturna. Qualche altro grida a gran voce:
     <<Teresa! Teresa, dove sito? Parchè no te me ghe dito de star casa!>>  C'è chi si ferma e chiede di prendere fiato. Per la miseria, anche l'età vuol dire! Ci si crede, ci si crede, ma, se si tiene conto degli anni, anche un sentiero di montagna può diventare un …“Calvario”! E mica l'hanno messo a caso quel nome!
     Son trascorse due ore e secondo i calcoli dovrebbero essere a metà strada. Il sentiero non smette di salire. Proporzionalmente aumentano le maledizioni e gli improperi contro chi ha avuto l'idea e contro chi ha scelto il posto: contro Capo e Vicecapo. I due se ne stanno zitti, ed è bene così, anche perché avevano fatto credere agli amici, come al solito, che tutto si sarebbe svolto in leggera salita, e che il sentiero sarebbe stato quasi "prativo". Ad un tratto, il Vicecapo, non potendone più di tutte quelle lagne, se ne esce con un:
     <<Su, forsa tosi! V'eò gavevo dito ch'eà strada jera in piano. Tuta in piano! Che cambia xe solamente l'inclinassiòn!>> Viene subito zittito e sommerso da imprecazioni.
     In ritardo ormai, cominciano ad uscire tutte le proposte alternative che ognuno s'era tenuto per sé. E a sentirle in quel momento, tutte migliori di quella scelta. Loro, gli amici, ne erano arci che sicuri. …Ma, scelta da chi? Come no? Democraticamente dal solito duo: Capo e Vicecapo! Gente che della montagna ha fatto una malattia e che quando parlano di sentieri “prativi”, potete star sicuri che le gambe corrono qualche pericolo.
     Sono trascorse circa tre ore. Intanto il Capo, non vedendo l’industriale, torna indietro a cercarlo. Invece, il Cuoco, il Vicecapo e l’Esperto in sentieri hanno già guadagnato la morena dell'anfiteatro glaciale. Sono già arrivati sotto i bastioni rocciosi della Schiara.
     Cominciano a calpestare un po’ di neve, qualche chiazza ghiacciata, rimasugli di una recente nevicata. Il Settimo Alpini non dev'essere lontano. Dieci minuti e, eccolo! Illuminata dalla luna, se pure confusa dalle rocce, la sagoma del rifugio si staglia nella notte e, vicino, il bivacco invernale. L’esperto in sentieri, il cuoco e il vicecapo lo raggiungono e danno di voce giù, ai ritardatari. Arrivano anche l’architetto, il geometra e l’impresario edile. Infine arriva il Capo che quasi trascina il povero industriale, sfinito per la fatica e che, per qualche attimo, era stato lì lì per tornare indietro. Meno male che ha resistito, altrimenti la pastasciutta se la sarebbero sognata.Sì, perché parte dell'occorrente stava nello zaino di quel moribondo. Bene ci sono tutti e non ci sono ospiti:
     “Il bivacco è tutto per noi”, grida il Vicecapo fregandosi le mani. Mica per la gioia, ma per scaldarsele! Corrono per accaparrarsi il posto migliore. Prima però, si accordano su chi russa, perché quelli andranno a dormire su, sul tavolato, fatta eccezione per l’industriale, chè lo sforzo di salire la scaletta lo stroncherebbe. Intanto fuori, il cuoco, e l’esperto di sentieri, meno provati degli altri, accendono un il fuoco. Manca l'acqua. C'è la neve però.
     <<Eà xe tuta onta!>> dice il  cuoco.
     <<Mejo>> risponde l’esperto, <<tanto xe scuro!>> 
     <<Sì, el pastòn dopo te teò magni ti!" dice il vicecapo, <<onto e infumegà.  Ma seto che paltan che vien fora co sta neve qua?>>
     Salta su il cuoco:
     <<No  capì gnente tosi! l'acqua de sta neve ghe darà pì gusto.>>
     <<E mi cossa goi dito>> fa l’esperto:
    <<Quando el gusto ghe guadagna, el magnàr xe na cucagna!  …E po’, se eà pasta  xe proprio fissa, tosi cari, mi ghe pisso drento!>>
Il Vicecapo si mette a ridere, si gira, guarda la luna, …sta ghignando anche quella. Sta ridendo di loro, scimuniti che hanno fatto tanta fatica per niente, o meglio per qualcosa che deve a che fare con:  una pastasciutta immangiabile, qualche risata e una tormentata dormita in bivacco.
     <<Dai Vicecapo, ti che te se, va tore l'acqua, se no qua no se magna!>> grida il cuoco. Il vicecapo si guarda in giro, …si commuove. Prende la pentola smaltata che s'era portata nello zaino e via alla ricerca dell'acqua. Cerca cerca, ma intorno non si vedono ruscelli. Nessun rumore di sorgente. E’ tutto ghiacciato! …Si ricorda di un serbatoio giù, a una decina di minuti dal rifugio. L’aveva visto in una precedente escursione. Corre giù per il sentiero con la pentola in mano. Dopo un quarto d'ora eccolo di ritorno. Si lamenta che ha la schiena a pezzi e non ce la fa più a tenere le braccia tese con la pentola piena d’acqua. Certo, in posizione curva! Ovvio, per non bagnarsi, e con un peso di dieci chili nelle mani, non è certo il miglior modo di affrontare una salita!
     <<Bravo vicecapo! Par fortuna che te ghe si ti.  Par gnente te ghemo da i gradi!>> 
Ma poco dopo un grido del cuoco:
     <<Che casso de stagnà gheto portà via? Eà xè sbusà!>>
   <<Sbuso te sarè ti! Eà xe eà pignàta pi cara d’eà Taresa, on ricordo de matrimonio!>>
     <<Ti, el to ricordo! Qua no se fa proprio gnente, eà perde a spissaròeo… Vardè tosi, traverso el buso se vede anca el fogo!>> Ora il vicecapo capisce, si guarda e tasta i pantaloni bagnati e tutti scoppiano a ridere. E giù frecciatine all'indirizzo del vicecapo e della signora Teresa.
     <<Eà Taresa magari eà gavèa butà ia, e ti te si 'ndà a rancuràrla! Dai, dixi che no xe vero! Bruto tegnìn!>> Il vicecapo si mette a guardare la pentola e non sa più che rispondere. Cavoli, la pentola era davvero bucata e lui, nel portare su l'acqua, s'era tutto bagnato.
     Si fa  fuoco ugualmente, anzi, qualcuno incita:
     <<Ghe vol pì fiama, pi fogo! Ghemo da far bòjare l'acqua in freta!>>
     <<Butèmoghe subito el sae! Chissà, servirà a fermare el spissaroeo!>> …Funziona. Dopo aver buttato il sale, la pentola perde molto meno. Pare che non esca più acqua dal buco, anzi il buco non si vede più. Miracoli dell'intuizione e del sale, non del capire (tutta una teoria diversa quella). L'acqua in men che non si dica comincia a bollire.
     <<Butta la pastaaaaaaaaaa!>> Pare un grido di battaglia, sì perché sono tutti lì attorno al fuoco, a guardare divertiti il miracolo, a tifare per la pastasciutta e a fare gli scongiuri sulla pentola bucata.
     <<Prestoooo, la pasta! Sbrigatiiiiiii!>> e giù, due scatole, un chilo, di tortiglioni. Si mescola con il primo bastone che capita in mano, non importa se è sporco, tanto l'acqua bollente disinfetta. Passano dieci minuti e
     <<E' cotta?>> domanda uno degli astanti. Si avvicina il solito esperto in sentieri con un rametto a forma di forchetta. Prende e assaggia.
     <<Sì è cotta, cottissima!>> Il cuoco non si fida, guarda l'orologio e sentenzia:
     <<Ancora cinque minuti!>> Tutti si mettono a ridere. Ma come? Uno dice che è cotta, l’altro invece, che ci vogliono ancora cinque minuti. L’interrogativo generale è, che tipo di pasta sia. Risponde l’esperto in sentieri:
     <<Elastica, molto elastica sta pasta! Co on subioto ghe fasso na calsa a eà fèmena.>>
     Poco dopo, scolano alla meno peggio, in un asciugamano, ributtano la pasta in pentola e giù: olio, peperoncino, tonno, sgombro e qualche acciuga, pezzetti di formaggio. Mischiano il tutto e l'impasto è bello e pronto. Scodellano e tutti si arrangiano a mangiare: chi con un pezzo di legno, chi con le mani, chi con il coltellino, però mangiano per davvero! Nessuno si lamenta. C'è anche chi fa il bis. Bevono del buon vino di pianura, cantano e, barzellette a tutto spiano. Se la ride la luna, ridono le stelle e sghignazza la montagna sopra di loro. No, è l'eco che rimbalza e risponde alle loro risate.
     Poi, presi dalla stanchezza e dal freddo, via tutti dentro al bivacco. L’industriale sta già russando della grossa. Si infilano dentro i sacchi a pelo, credendo di dormire, invece continuano le barzellette. Sempre più grasse, sempre più spinte. Chi ride, chi scoreggia, chi si lamenta per i crampi, chi per il fetore dei piedi del vicino che, a bella posta, gli ha messo i calzettoni fradici di sudore sotto il naso. Ad un certo punto un urlo straziante:
     <<Ahiaaaa! Maledetta! Me so pissegà!  …Ciavà i cojoni co la cerniera del saco a peo!>> Pronto, l’impresario gli fa eco:
     <<Desso, te tocarà cantare in falseto!>>  Se sente el Capo tirare el segòn (russare), l’Architetto va in apnea, poi un sussulto e scoppia in un rumoroso respiro. L’industriale è in buona compagnia. Nessuno parla e nessuno ride più. Ad intervalli regolari si sente il ronfare di chi dorme profondamente e il rumore sordo e insopportabile di chi russa. Vola qualche scarpone. Un leggero tramestio, un borbottio e finalmente, silenzio.
     Fuori, l’incanto della montagna. La Schiara incombe sopra il rifugio. Il profilo nero della montagna si staglia possente e maestoso contro un cielo pieno di stelle. Fa freddo e, nel gelo, una meravigliosa luna sta vegliando i sogni di otto buontemponi, divertita dalla loro fatica e dal loro buon umore.



Mario Berto

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